Altri manager

Mentre in Italia nessuna indagine scientifica di rilievo si è finora occupata di studiare le condizioni lavorative delle persone omosessuali, in Europa manager e imprenditori gay si riuniscono in associazioni per avere visibilità sui luoghi di lavoro, per fare rete nelle aziende e promuovere i propri interessi. Una di queste associazioni che riunisce i manager europei si chiama Egma (European Gay and Lesbian Managers Association) e durante l’Europride ha promosso a Roma una tavola rotonda per fare il punto sulla situazione. Il presidente, Angelo Caltagirone, è un italo-svizzero. Lo abbiamo intervistato.
Ti presentiamo ai lettori di Pride. Chi è Angelo Caltagirone? Qual è la tua formazione e come si svolge il tuo impegno?
Sono nato in Italia ma sono cresciuto in sostanza sempre in Svizzera, i miei sono emigrati quando avevo solo undici mesi. A parte i quattro anni vissuti a Roma dopo la maturità per frequentare la scuola superiore per Interpreti e traduttori, ho sempre vissuto in Svizzera e da un paio d’anni ho anche acquisito la cittadinanza svizzera, pur mantenendo quella italiana. Tornato da Roma dopo il diploma, 22 anni fa, ho aperto una società che offre consulenza per traduzioni professionali ad aziende ed enti in Europa. Da una decina di anni faccio parte del comitato direttivo di Network, l’associazione dei manager e imprenditori gay in Svizzera per la quale curo le relazioni con l’estero, una specie di ambasciatore che promuove gli interessi della comunità gay professional in Svizzera e in Europa. Dopo due anni di vicepresidenza, da cinque sono il presidente di Egma, associazione di cui fa parte anche Network.
Nel 2009 ti sei “unito civilmente” con Stefan…
Ci siamo conosciuti sei anni fa e ci siamo sposati civilmente (la parola “unito” mi fa un po’ specie). In Svizzera la legge sulle unioni civili è stata approvata da un referendum con una maggioranza di quasi il 60%. A Basilea, invece, dove vivo, è passata persino con il 67% dei voti. Alla nostra festa sono venute molte persone, compresa la mia famiglia, da ogni parte dell’Italia, persino dalla Sicilia e dalla Campania: zie, cugini, conoscenti, giovani e anziani, e questo mi fa pensare che la società civile in Italia è molto più avanti della politica, non credo di rappresentare un’eccezione. Certo, aver fatto coming out in famiglia a 17 anni mi ha aiutato, nel senso che la mia famiglia ha avuto il tempo per fare il proprio percorso per accettare e poi capire e condividere le mie scelte e il mio modo di essere.
Parlaci di Egma, l’associazione di manager omosex di cui sei presidente. Com’è nata?
Egma è la federazione europea delle associazioni glbt business. Fondata nel 2005 secondo il diritto tedesco, ha sede a Berlino e attualmente è costituita da nove associazioni nazionali che contano in tutta Europa oltre 3000 manager, imprenditori e professionisti glbt. C’è l’Austria con Agpro (Austrian Gay Professionals), la Francia con L’autre cercle, il Belgio con Bba (Belgian Business Association), i Paesi Bassi con Genius e Cpp (Company Pride Platform), la Svizzera con Network e Wybernet, infine la Germania con Volklinger Kreis e Wirtschaftsweiber. In alcuni paesi le associazioni maschili e femminili sono separate, in altri paesi, come la Francia, sono miste. Nata come semplice piattaforma d’incontro tra le associazioni, Egma è diventata con il tempo un punto di riferimento per gli associati che si scambiano esperienze in campo sociale, culturale, politico ed economico, una piattaforma che consente alla comunità di accedere a contatti ed eventi delle singole associazioni e offre una base di networking e business networking in Europa lavorando a stretto contatto con altre federazioni europee, quali Ilga (International Lesbian and Gay Association) e l’Igllgc (International Gay and Lesbian Chamber of Commerce).
Qual è il bisogno che ha spinto i manager omosessuali a riunirsi in un’associazione?
All’inizio era un modo come un altro per incontrarsi, eravamo persone con una certa responsabilità professionale e aziendale col desiderio di scambiare le reciproche esperienze lavorative e fare networking. Successivamente, raggiunta una certa dimensione, abbiamo iniziato a promuovere diritti per le persone glbt, soprattutto sul posto di lavoro trattandosi, per l’appunto, di associazioni business. Nelle associazioni ci sono anche politici e opinion maker che possono davvero aiutare a cambiare qualcosa. Il contributo dato, per esempio, dalle associazioni svizzere e tedesche alla legge sulle unioni civili è stato notevole, grazie all’impegno dei propri soci, non solo a livello di propaganda e lobbying ma anche sul piano finanziario. E i risultati sono a vantaggio dell’intera comunità. Per esempio, la maggior parte dei soci di queste associazioni sono dichiarati in azienda, e questa è un’opportunità di condivisione di valori importante e imperdibile per la comunità che li ospita o che li accoglie.
Cosa fanno in concreto queste associazioni?
Le associazioni organizzano meeting, eventi, convegni e iniziative, e intrattengono un significativo dialogo con le imprese che diventano spesso co-protagoniste di questa attività informative e promotrici esse stesse di altre azioni dedicate alle organizzazioni aziendali. Sono tutte associazioni con un grosso peso a livello politico e sociale nei paesi in cui sono presenti, e svolgono un fondamentale ruolo di lobbying dando voce alle richieste della comunità glbt. Fuori dall’Europa queste associazioni hanno una componente business molto marcata: uno degli obiettivi principali dei soci è di fare affari insieme. In Europa questo aspetto esiste, sebbene abbia ancora dei discreti margini di crescita, con l’unica eccezione del Regno Unito che si ispira piuttosto ai modelli nordamericani ed è più business-oriented di altri. In questi paesi, non a caso, tali associazioni si chiamano “Camere di commercio”, cosa che secondo l’ordinamento europeo non potrebbe succedere in Italia perché la Camera di commercio Italiana è un ente pubblico. Egma ha comunque ottimi contatti con la Nglcc (National Gay and Lesbian Chamber of Commerce) negli Usa e con i suoi soci. Ci sono poi federazioni europee e internazionali che formano un “ombrello” sotto cui riuniscono le associazioni glbt business nazionali che lo desiderano, in modo da riunire realtà anche distanti geograficamente in un’unica organizzazione.
Che rapporto c’è tra visibilità e produttività delle persone omosex sui luoghi di lavoro?
Il concetto di diversity management è complesso e tocca diversi aspetti sia delle organizzazioni aziendali che del fattore umano. Oggi si preferisce parlare di diversity & inclusion, perché è importante che la gestione della diversità implichi da subito il meccanismo dell’inclusione dell’individuo portatore di “diversità” e quindi di ricchezza a mio modo di vedere. È stato provato da diversi studi che una persona gay, lesbica, bisessuale o transgender che si sente a proprio agio perché l’ambiente in cui lavora è inclusivo, è più produttiva, meno stressata, più concentrata e molto spesso anche più creativa: fattori di sicuro vantaggio per l’azienda. Se il lunedì mattina torni in ufficio e ti viene chiesto cosa hai fatto nel fine settimana, un conto è rispondere in modo immediato e schietto, senza perdere tempo a inventarti delle bugie (se magari hai passato il weekend con il o la tua partner dello stesso sesso) e quindi sentirti parte del team con cui lavori, insomma condividere le piccole cose della vita quotidiana. Un altro conto è se devi nasconderti, mentire e ricordarti ogni volta quale bugia hai raccontato e a chi, in modo da non cadere nella tua stessa trappola, o peggio ancora non rispondere nulla e quindi apparire agli occhi dei tuoi colleghi come un asociale (e di una persona schiva in genere non ci si fida). Tutto questo spreco di energie va a scapito dell’azienda perché il o la dipendente “perde tempo” a nascondersi o a mentire. Inoltre, un ambiente di lavoro accogliente e inclusivo è senza dubbio fidelizzante perché sentendosi a proprio agio la persona è più fedele al suo lavoro e meno propensa ad andare via: la perdita di talenti è un fattore negativo di peso nelle aziende, non dimentichiamolo.
In che modo multinazionali come Ibm, ad esempio, sponsorizzano le iniziative? Perché lo fanno?
In America Ibm ha iniziato a gestire la diversità negli anni Sessanta, quando per ottenere appalti dal governo era necessario avere una quota di dipendenti afro-americani. Con il tempo questo principio si è allargato anche ad altre categorie, fino ad arrivare all’orientamento sessuale e all’identità di genere. In Nord America tutte le grandi aziende hanno un responsabile che si occupa di diversità e inclusione, spesso nello specifico di questioni riguardanti le persone glbt.
Come valuti il 4° International GLBT Business Leader Forum che si è tenuto a Roma durante l’Europride?
È stato un evento molto interessante perché siamo riusciti a fare il punto della situazione in Italia, in Europa e nel mondo. L’obiettivo dichiarato della conferenza è stato quello di stimolare le persone in Italia; infatti il sottotitolo dell’evento era “Inspiring the Italian glbt  Community” e penso che un certo risultato sia stato raggiunto in questo senso, il riscontro è stato positivo. Ora tocca alla comunità italiana muoversi in una certa direzione per ricercare il vero cambiamento per una situazione che, in effetti, non è esattamente rosea in Italia. Eppure ci sono delle realtà che iniziano a muovere passi importanti ottenendo i primi risultati, come per esempio le aziende che si sono iscritte a Parks. Liberi e uguali, l’associazione di imprese fondata da Ivan Scalfarotto. Oppure gli esempi pubblicitari di aziende quali Ikea, Eataly ed EasyJet di qualche mese fa. Esperti provenienti da diversi paesi hanno parlato delle proprie esperienze e delle politiche implementate in varie aziende, mettendole a confronto con quelle dei loro colleghi italiani. Si è parlato di coming out sul posto di lavoro, di esperienze negative ma anche molto positive. Una sessione importante è stata anche quella sui motivi per cui un’azienda dovrebbe sostenere la comunità glbt attraverso le sponsorizzazioni di un pride, un’associazione o un evento. Sono certo che le persone intervenute, e soprattutto le aziende presenti, abbiano portato a casa un messaggio importante: le aziende che offrono la parità dei diritti sul posto di lavoro sono quelle più innovative e vincenti perché “avanti” rispetto alle altre nel creare un ambiente inclusivo e nel trattenere e reclutare nuovi talenti. Uscire dall’armadio, come si dice in inglese, sul posto di lavoro non è impossibile, in Italia come nel resto del mondo, e le esperienze rilevate sono già molto interessanti, nonostante il percorso particolarmente difficile.
Dal tuo punto di vista, cosa manca in Italia?
Ci vorrebbe un’associazione professional come ce ne sono nel resto d’Europa. Qualche anno fa ce n’era una simile chiamata PrIMO (Professionisti, Imprenditori e Manager Omosessuali), che dopo un breve periodo di interessante attività purtroppo si è sciolta. Ora resta un vuoto da colmare. I tempi sono maturi ed è necessario che vi sia un organismo che possa collegare la comunità e il mondo degli affari e delle aziende, che s’impegni a favore dell’uguaglianza giuridica per le persone, che sfrutti i suoi contatti per fare lobbying e per parlare ai piani alti delle aziende, che diventi per esempio l’interlocutore privilegiato del ministero per le pari opportunità quando si tratta di discutere misure di antidiscriminazione, di diversità e inclusione sul posto di lavoro. Parlo di un’associazione che deve nascere in Italia ed essere guidata da persone che vivono in Italia. Come Egma possiamo dare un supporto, fornire informazioni su diversi temi, ma il lavoro deve essere fatto in Italia da persone che vogliono dedicare una parte del loro tempo libero a creare qualcosa che sia veramente efficace e duraturo. Per questo mi appello a manager, imprenditori e imprenditrici, liberi professionisti, accademici, politici, artisti, ecc. della comunità perché uniscano le proprie esperienze, la propria voglia di fare, di condividere e di essere attivi nel creare una nuova associazione, senza connotazioni partitiche, in grado di far fare all’Italia quel salto di qualità necessario per stare al passo col resto d’Europa.