Cape Town è la città che ad aprile ha ospitato la 33a edizione della convention annuale di IGLTA, l’associazione mondiale del turismo LGBT che per la prima volta si svolgeva nel continente africano. Fu il primo insediamento europeo del Sudafrica e quindi ne è la più antica città, gioiosamente soprannominata “the mother city”, la città madre. La leggenda narra che nel 1930 un giornale locale abbia sostenuto che Città del Capo fosse l’unica città della nazione che si sarebbe potuta definire come una metropoli, parola che deriva dal greco mèter (madre) e pòlis (città), e la cittadinanza adottò orgogliosamente il titolo. Come in tutta la provincia di Western Cape, il clima qui è mite e mediterraneo, la gente è cordiale e il ritmo di vita non è stressante.
La città gode di una posizione molto scenografica in quanto è affacciata sull’oceano Atlantico e si è sviluppata ai piedi della Table mountain alla cui cima piatta, da cui deriva il nome di montagna tavolo, si accede con una cabinovia (ma se siete temerari potete anche salire a piedi su un sentiero impervio). La seconda “attrazione” dolorosamente più famosa è Robben Island a 12 km al largo, che sin dalla fine del XVII secolo fu adibita dai coloni europei a carcere. L’isola divenne tristemente nota come luogo di detenzione per prigionieri politici nel periodo dell’apartheid e il più famoso di loro fu Nelson Mandela.
Il miglior consiglio per scoprire questa destinazione è di gironzolare a piedi per i vari e variopinti quartieri tra cui segnaliamo Adderley con i lussureggianti Company’s Gardens, la statua austera della regina Vittoria, la cattedrale anglicana di San Giorgio Martire e vari musei; il business district con Long street e i suoi ristoranti e numerosi edifici di fine ‘800 e art déco; il molo del Victoria & Alfred Waterfront cuore storico del porto da cui parte il Robben Island Ferry; il quartiere malese di Bo-Kaap, che si snoda dalle pendici della Signal Hill, caratterizzato da numerose moschee e case basse dipinte in colori sgargianti; il castello di Buona Speranza e l’adiacente District 6 un quartiere residenziale creato nel 1867 come una comunità mista di schiavi liberati, marinai, mercanti, artigiani, operai e immigranti di diverse nazionalità che negli anni settanta, durante il regime dell’apartheid, fu quasi del tutto raso al suolo e i suoi oltre 60.000 abitanti deportati (alla storia del quartiere è dedicato un museo virtuale che ne ricostruisce la geografia e gli eventi). Come le altre grandi città sudafricane, Città del Capo ha la propria cintura di township, i quartieri poveri dove vivono i neri rimasti al margine della società. Tra le zone adiacenti sono da segnalare l’area vinicola di Constantia, il giardino botanico Kirstenboch, numerose spiagge e Cape Point ovvero il capo di Buona Speranza, tradizionalmente ma erroneamente considerato come il punto più a sud del continente africano e come punto di separazione tra l’oceano Atlantico e l’oceano Indiano.
La scena gay cittadina è abbastanza piccola ma il sito www.gaycapetown4u.com vi fornisce la lista dei locali tra cui spiccano l’Amsterdam Action Bar e la sauna Hothouse per chi cerca incontri eccitanti vecchio stampo con la popolazione locale.
È anche grazie a Nelson Mandela se il Sudafrica fu il primo paese al mondo a inserire la non discriminazione per gay e lesbiche nella costituzione, e in seguito a essere l’unico paese africano ad avere il matrimonio fra persone dello stesso sesso e a concedere l’adozione alle persone omosessuali. Se la Rainbow Nation, la nazione arcobaleno (termine creato dall’arcivescovo Desmond Tutu premio Nobel per la pace nel 1984, che voleva immaginare un paese dove le differenze etniche non si fondessero ma si giustapponessero) è una eccezione in Africa come lo è Israele in Medio Oriente per quanto riguarda le politiche LGBT, non è tutt’oro ciò che luccica come hanno raccontato attivisti gay e attiviste lesbiche incontrate durante la convention. Le differenze di ceto e di potere economico e le diffidenze tra gay bianchi e gay africani portano a organizzare pride separati e il divario tra uomini e donne è quasi incolmabile. Da segnalare comunque è il Pride Shelter Trust www.pridesheltertrust.com, un’organizzazione senza scopo di lucro che gestisce una casa rifugio che offre alloggio, vitto e supporto psicologico a breve termine per persone LGBT durante i periodi di crisi della loro vita. Caso unico in tutta l’Africa, il Pride Shelter ha aperto i battenti nel 2011 sostenendo oltre 350 persone, anche migranti che fuggono dalle nazioni confinanti.
Un concetto che mi è stato spiegato durante la visita in questo centro è ubuntu, che significa “io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti”. Il futuro delle nostre comunità passa anche da qui.
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