La fine del gender

La guerra della Chiesa cattolica contro il “gender” è iniziata nel 1995 con la IV conferenza delle donne di Pechino ed è continuata fino al 2003, con la pubblicazione da parte del Pontificio Consiglio per la Famiglia del Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche. Si accusavano le istituzioni internazionali di favorire un’idea fuorviante di uguaglianza tra uomo e donna; di promuovere contraccezione, aborto e “omosessualismo” per contenere la crescita della popolazione mondiale e di favorire l’insorgere “di quel disturbo della psiche che provoca un aumento dei comportamenti omosessuali”.
Dopo il 2003, nella chiesa cattolica, ci si è dimenticati del “gender” (al punto da non citarlo nemmeno nel documento con cui si presentava il Family day del 2007) fino a quando, in Francia, Manif pour tous (una rete di associazioni vicine alla Chiesa e all’estrema destra) ha fatto del “complotto del gender” il cavallo di battaglia della sua lotta contro il matrimonio ugualitario per le persone omosessuali.
Dalla Francia la guerra contro il “gender” si è spostata in Italia, dove la pasticciata vicenda del DdL Scalfarotto contro l’omofobia (presentato, snaturato e poi sacrificato alla tenuta della maggioranza di governo) ha favorito la nascita delle Sentinelle in piedi che, con la scusa di protestare contro una legge che ormai non c’era più, hanno coagulato una vera e propria “armata Brancaleone” composta da neofascisti arrabbiati e clericali moderati, da leghisti ed ex politici di sinistra in cerca di visibilità, da giornalisti ansiosi di sistemarsi nel vasto sistema di potere mediatico che fa riferimento alla Chiesa italiana a esponenti di quel tipo di associazionismo ecclesiale che ha bisogno come pane di battaglie in cui lanciarsi.
Viene inventato un nuovo volto del complotto del “gender”: le campagne contro la discriminazione e il bullismo proposte in alcune scuole italiane e si inizia la campagna di disinformazione e, al grido di: “Difendiamo i nostri figli dall’ideologia del gender” si è chiesto ai genitori, alle parrocchie, alle associazioni e alle amministrazioni di segnalare tutti i tentativi di imporla attraverso la scuola. Centinaia di improvvisati investigatori hanno così iniziato a sfogliare libri e quaderni per scoprire le tracce di questo complotto.
Che qualcosa di paranoico ci fosse in questa campagna, è emerso quando Alberto Pellai, uno dei più conosciuti pedagogisti italiani, cattolico dichiarato, padre di tre figli e ospite fisso di numerose testate giornaliste cattoliche come Famiglia Cristiana e Avvenire è stato accusato di aver messo a punto dei percorsi educativi ispirati alla teoria del “gender” in cui si “propone la masturbazione ai bambini di quattro anni”. Ancora più paradossali sono sembrate le accuse alle suore Canossiane di Verona, colpevoli di aver riproposto alle loro allieve un corso di educazione affettiva che veniva ripetuto ormai da anni, senza aver mai suscitato nessuna reazione negativa. Come una ciliegina sulla torta sono poi arrivati erti discorsi oggettivamente imbarazzanti che alcuni relatori hanno fatto durante il Family day del 20 giugno scorso.
Nella Chiesa italiana in molti hanno capito che era arrivato il momento di prendere le distanze da quella che si era trasformata in una vera e propria caccia alle streghe. Hanno così iniziato a farsi strada voci come quelle delle suore missionarie comboniane che, sulla loro rivista, hanno scritto: “Nel grande calderone gender ci si mette dentro un po’ di tutto, in particolare ciò che ha a che fare con la sessualità. Perché pare essere proprio questo il tema che fa paura, che non si vorrebbe affrontare con i più piccoli, salvo poi ritrovarsi davanti a gravi distorsioni dei rapporti tra i generi, alla non accettazione e discriminazione delle diversità da quel che ‘così è per natura’. Come se l’educazione affettiva e sessuale si possa (o si debba) ritardare o peggio boicottare”.
Anche Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani, dopo aver appoggiato per più di due anni la campagna contro il gender, ha ospitato, il 31 luglio di quest’anno, un articolo della sociologa Chiara Giaccardi che, fin dal titolo, Non solo ideologia: riappropriamoci del gender, propone un approccio radicalmente diverso alla questione “gender”. Potrà sembrare strano, ma dopo quell’articolo, Avvenire non ha più parlato di “gender” e ha abbandonato al loro destino i kamikaze della lotta al “gender” che, nelle sale offerte da parroci e amministrazioni comunali compiacenti, continuano imperterriti a lanciare un allarme a cui, ormai, non credono più neanche loro.

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