L’ora del social Mix

Compie ventisette anni la rassegna milanese di cinema gay lesbico & queer culture e non si arrende. Anzi. Cerca perfino di trasformare in un’opportunità la crisi economica che ci attanaglia tutti. Per fare fronte alla penuria di fondi si rivolge infatti al suo pubblico e chiede un sostegno preventivo, sotto forma di donazione o prevendita ma anche di contributo organizzativo e progettuale. Se mancano i quattrini, insomma, non è detto che la qualità ne debba soffrire. Così la carovana del Mix è partita di slancio a primavera chiamando a raccolta le sue molteplici reti di relazione e facendo partire in Rete una campagna di finanziamento collettivo (crowdfunding) basata sull’acquisto preventivo di biglietti d’ingresso e abbonamenti in cambio della partecipazione al “processo creativo”. Con un contributo minimo di 10 euro e massimo di 500 si acquista anche la possibilità di dire la propria sulla scelta della grafica del festival, dei titoli dei libri da presentare o dei film da rivedere. Ma oltre a questo il direttore artistico del festival Giampaolo Marzi ha lanciato un appello alla collaborazione, nel tam tam dei sociali network e della comunità glbt milanese, che ha prodotto risultati positivi. Quanto positivi si vedrà dal 19 al 24 giugno al Teatro Strehler, ma intanto il Festival Mix ha già incassato la certezza di potersi svolgere regolarmente e senza sostanzialmente rinunciare alla consueta ricchezza del programma: ci saranno i film ma anche i dj set sul sagrato, la presentazioni di libri, l’incoronazione delle icone, gli eventi speciali, le performance e i party.
Per quanto riguarda la parte cinematografica, che rimane la portata principale del menù, l’offerta è vasta (circa 100 titoli tra corti, medi e lunghi) e come sempre eterogenea. Ciascuno avrà le proprie chance per emozionarsi, indignarsi o annoiarsi come in ogni festival che si rispetti. Tra i lungometraggi meritano sicuramente di essere segnalati alcuni titoli dal Medio Oriente.
Dall’Iran Facing Mirrors di Negar Azarbayjani, una storia che conquista cuore e cervello dello spettatore parlando di donne e transessualità, con un linguaggio profondo e delicato oltre che con un ritmo narrativo assolutamente scorrevole. Protagoniste della vicenda sono Rana, che con il marito in galera e un bambino piccolo da mantenere si dà alla scandalosa professione di tassista abusiva, e Adineh (Eddie), che per diventare l’uomo che sente di dover essere è in fuga dal padre che desidera inchiodarla a un destino di donna facendole sposare il cugino. La strada produce l’incontro tra loro e le rispettive necessità le spingono a collaborare prima per forza e poi per scelta. Un film da non perdere, proprio come Out in The Dark dell’israeliano Michael Mayer, al quale dedichiamo un articolo nelle pagine seguenti e che tratta il tema dei giovani palestinesi gay che fuggono in Israele per vivere liberamente la propria omosessualità ma possono viverci solo come clandestini. Dello stesso argomento si occupa anche il “docuromanzo” di Yariv Mozer The Invisibile Men, in cui tre ragazzi palestinesi raccontano le loro storie vere. Louie ha 32 anni, vive in Israele da anni a lavora come volontario in un centro glbt; Abdu ne ha 24 ed è fuggito dalla sua città dopo essere stato accusato di essere una spia (perché gay) e torturato dalle forze di sicurezza palestinesi; Faris, infine, ne ha 23 ed è scappato perché a volerlo ammazzare per lavare l’onta dell’omosessualità era la sua stessa famiglia. Per tutti l’unica scelta possibile appare l’emigrazione all’estero, lontani da Israele e Palestina che li rifiutano.
Ancora da Israele approda al Mix di Milano Yossi di Eytan Fox, il sequel del suo famoso e amato Yossi & Jagger del 2002. Il primo capitolo della storia raccontava di due soldati israeliani in servizio al confine con il Libano che si innamorano finché tragica morte non li separa. Dieci anni dopo ritroviamo Yossi, il superstite della coppia sempre interpretato dallo stesso attore (Ohad Knoller), vedovo inconsolabile. Appesantito e depresso com’è, sprigiona comunque un irresistibile fascino bear che non mancherà di colpire nel segno quando Yossi si prenderà una vacanza dal suo stressante lavoro di medico in ospedale e ristabilirà un contatto con il proprio passato facendo amicizia con quattro giovani militari che hanno la stessa età e la stessa gioia di vivere del suo perduto Jagger. Tra loro c’è Tom, uno Jagger 2.0 bello come un angelo ma tosto e determinato che si impegnerà con profitto a risvegliare Yossi dal suo torpore.
I tempi cambiano e i giovani gay sanno sempre meglio quello che vogliono. Non proprio tutti però, visti gli sviluppi della trama de L’Age Atomique di Hélénà Klotz, film francese di indubbia ambizione da amare o odiare senza mezze misure. La domanda è: si può rendere interessante ancora una volta l’amore di un adolescente strafatto per l’amico etero che non se lo fila? A ciascuno la sua risposta.
Il romanticismo più o meno disperato domina incontrastato anche in altre salse, come quella decisamente daddybear dell’olandese It’s all so quiet diretto da Nanouk Leopold. Tratto da un romanzo best seller di Gerbrand Bakker, ci trasporta nell’immota campagna dei Paesi Bassi dove Helmer, un contadino cinquantenne dai tratti ruvidi e intensi, vive in quasi totale isolamento assistendo il vecchio padre moribondo. Tra le poche presenze umane c’è l’uomo del camion del latte, un orsone di mezza età che muore dalla voglia di provarci con lui ma non osa. La vicenda sembra prendere una piega prevedibile quando alla fattoria arriva un nuovo giovanissimo assistente biondo e pure disponibile. La sorpresa invece è dietro l’angolo, anche se la malinconia dei brumosi cieli d’Olanda è dura da dissipare.
Melodrammone pro matrimonio gay (e relativi diritti del partner straniero) è invece I do di Glenn Gaylord, che narra le traversie di un gay inglese negli Stati Uniti, dove la legge non gli consente di ottenere il permesso di soggiorno sposando il suo lui. Si raggiunge infine l’estasi, con seri rischi di iperglicemia, in Five Dances di Alan Brown, dove due splendidi ballerini newyorchesi si amano senza praticamente mai smettere di danzare. Poi ci sono naturalmente anche i film in cui lo zucchero lascia il posto al pepe – o preferibilmente a qualcosa di più pesante – come il visionario e grottesco K-11 di Jules Stewart. È ambientato in un braccio riservato a gay e trans della prigione della Contea di Los Angeles, dove la vita trascorre allegramente tra fiumi di droga, sesso e violenza in un’intricatissima relazione tra vittime e carnefici. Ma come si diceva la scelta è vasta, tanto tra i titoli a tematica gay che fra quelli lesbici, tra i quali segnaliamo ancora la commedia canadese Margarita, firmato in coppia da Dominique Cardona e Laurie Colbert, in cui il rebus è come salvare dal rimpatrio in Messico una ragazza lesbica. E il cileno Young and Wild di Marialy Rivas, che mette in scena il conflitto tra certe pulsioni sessuali fuori ordinanza e una rigida educazione evangelica.
Nutrito e interessante anche il catalogo dei documentari in programma. Un tuffo nel passato e nella più travolgente energia trash che la storia ricordi è I’m Divine di Jeffrey Schwarz, nuovo tributo alla leggendaria drag queen che si definisce nel sottotitolo “la vera storia della donna più bella del mondo”. Attraverso una elettrizzante selezione di filmati d’epoca e interviste ad amici, colleghi e fan, il personaggio di Divine rivive e si rivela in tutta la sua eccezionalità. Di vette del travestimento e di energie spirituali d’eccezione si parla anche in Joie! del regista canadese Joe Balass, che propone come eroina una delle mitiche Sorelle della Perpetua Indulgenza – Sister Missionary Position – in una rievocazione del lato più hippy e mistico della tradizione drag.
Tutt’altra faccenda è Interior Leather Bar di James Franco e Travis Mathews, un esperimento di meta cinema di complessità affascinante. Lo spunto è immaginare il making of dei 40 minuti di scene hard tagliate dal controverso film gay Cruising di Wiliam Friedkin, del 1980, per trarne una riflessione filmata su sesso tra uomini, omofobia, censura ed evoluzione dell’identità gay. Per chi non ha eccessive pretese intellettuali potrebbe valere comunque la spesa anche solo il bel faccino di James Franco con gli occhi che gli brillano di sconcerto durante le riprese di una scena sadomaso pesantina.