Piatto ricco al ToGay

Granitico di fronte all’impetuoso vento della crisi, ecco puntuale il Torino Glbt Film Festival – Da Sodoma Hollywood (www.tglff.com). Amministrato dal 2005 dal Museo nazionale del cinema, il festival è diretto come sempre da Giovanni Minerba, coadiuvato da Fabio Bo, Angelo Acerbi e Alessandro Golinelli.
Quest’anno il manifesto è stato ideato dall’artista Santo Alligo. Grafico, illustratore e scultore, Alligo è famoso per avere creato negli anni Sessanta per lo studio Armando Testa un personaggio carissimo a tanti bambini: l’ippopotamo Pippo.
Come di consueto, l’offerta è particolarmente ricca, con 140 film provenienti da una quarantina di paesi. Grazie a essi viene fuori in tutte le sfaccettature l’essere gay al giorno d’oggi, in particolare grazie ad alcuni punti nodali, come il coming out, i rapporti con la famiglia, le problematiche della coppia, il sesso, la prostituzione, l’omofobia o gli anziani. Quest’anno i temi più forti sembrano essere quello dei diritti di chi è gay e due argomenti incandescenti: il bullismo e gli adolescenti.
Il festival si svolgerà nelle sale del cinema Massimo (via Verdi 18), mentre la serata di inaugurazione avrà luogo presso l’Uci Cinemas Lingotto giovedì 19 aprile. Il film di apertura sarà la divertente commedia Alle tijd (Time to Spare) dell’olandese Job Gosschalk, che racconta del quarantenne Marteen e di sua sorella più giovane alle prese con amori complicati. Il film di chiusura è invece Let My People Go! (Mikael Buch, Francia), con la grande Carmen Maura. Si tratta di una commedia farsesca e un po’ kitsch, che gioca sugli stereotipi gay e sul giudaismo; il protagonista è un francese che, costretto a lasciare il suo boyfriend in Finlandia, torna a casa dalla sua tremenda famiglia ebraica. Forse proprio Carmen Maura sarà uno dei tanti ospiti, che però quest’anno sono ancora top secret, così come il vincitore del Premio Dorian Gray (l’anno scorso toccato a Lindsay Kemp).
Il fulcro è ovviamente costituito dalle tre categorie competitive, che riguarderanno lungometraggi, cortometraggi e documentari. A ciascuna categoria sarà assegnato un premio dalle rispettive giurie internazionali e uno, particolarmente sentito, del pubblico.
Tra i lungometraggi in concorso risaltano il sudafricano Skoonheid (Beauty) di Oliver Hermanus e il divertente The Perfect Family di Anne Renton (Usa). Il primo – vincitore della Queer Palm 2011 e candidato agli Oscar per il Sud Africa – è ambientato nella comunità afrikaaner e racconta di un quarantenne, la cui esistenza monotona, vivacizzata solo da un po’ di sesso con altri gay, è scossa dalla struggente passione per il giovane Christian, un sentimento per lui nuovo e improvviso. Nell’altro domina un’eccezionale Kathleen Turner che interpreta la devota Eileen che, per ricevere l’ambito titolo di “cattolica dell’anno”, deve ricevere a cena l’arcivescovo; ma la sua famiglia è decisamente sui generis, a cominciare dalla figlia lesbica, in attesa di un bambino assieme alla sua compagna.
C’è poi August, diretto dallo statunitense di origine israeliana Eldar Rapaport, un dramma sentimentale sulla difficoltà delle relazioni: Jonathan sta con l’argentino Raúl, ma il ritorno della sua vecchia fiamma Troy riaccende quella passione e le vecchie ferite della loro separazione. Jonathan non sa cosa fare, ma i dubbi coinvolgono anche Raúl, che si chiede se ha fatto bene a rimanere a Los Angeles apposta per Jonathan, e lo stesso Troy. Da Hong Kong proviene il mélo Wu Yan (Speechless) di Simon Chung: un giovane francese viene ritrovato nudo sull’argine di un fiume. Ricoverato in un ospedale, turbato da tremendi ricordi del passato ma incapace di parlare, stabilisce un bel rapporto con l’inserviente Jiang, che poi lo porta al suo villaggio per evitargli il manicomio. Lì Jiang scopre il suo segreto, legato a un amore impossibile.
Tra i cortometraggi segnaliamo Tsuyako, della giapponese Mitsuyo Miyazaki, ambientato negli anni faticosi del Giappone del dopoguerra: la passione avvolgente che lega due donne, una ricca single e un’altra operaia sposata con una bambina, porterà una delle due a una scelta dolorosa. In Prora, dello svizzero Stéphane Riethauser, due adolescenti in riva al mare cercano di vincere la noia, tra progetti e sballi, finché la molla del desiderio non dà una decisa sterzata al loro rapporto.
Tra i documentari spicca Photos of Angie di Alan Dominguez (Usa), che rievoca il primo assassinio di un transessuale punito come “crimine d’odio”: la diciottenne transgender Angie, un tempo Justin, ritrovata morta nel suo appartamento nel 2008. Il film esamina sia il percorso condotto da Angie per capire la propria identità sia l’omicida, dalla repressa omosessualità. Le Coccinelle – Sceneggiata transessuale di Emanuela Pirelli è la storia, piena di umanità, di un fenomeno unico: quattro drag, in arte Le Coccinelle, si prostituiscono nei vicoli napoletani, esibendosi poi come cantanti in battesimi, comunioni e matrimoni. I Am, dell’indiana Sonali Gulati, prende in esame la situazione dell’omosessualità in India, dopo l’abolizione della legge “Section 377” che la rendeva illegale. Ne viene fuori un ritratto, toccante e a volte tragico, di gay e lesbiche e, sullo sfondo, del forte senso di comunità che c’è in quel paese.
I film non in concorso vengono proposti in tre sezioni denominate “Binari”. E qui tra i lungometraggi si fa apprezzare Weekend, dell’inglese Andrew Haigh, che racconta il fine settimana – vissuto intensamente, fra sesso, alcol e conoscenza reciproca – fra due giovani che si sono trovati in un club: Russell, timido e imbarazzato, e Glen, orgoglioso di essere gay. Tra i documentari c’è invece Schuberth – L’atelier della Dolce Vita, di Antonello Sarno, la storia del primo stilista italiano, austriaco d’origine ma partenopeo di nascita, che nei fulgenti anni Sessanta e Settanta ha saputo esaltare come pochi la femminilità. Nei cortometraggi appare intrigante Diptych del greco Panayotis Evangelidis, un omaggio alla straordinaria pittura di Yannis Tsarouchis, il cui fortissimo erotismo – che si incarna in angeli, marinai, militari, muratori e ragazzi di strada – rivive grazie a dei tableaux vivants.
Altre tre sezioni, i Focus, mettono la lente d’ingrandimento su alcune tematiche particolari, controverse quanto attuali, proposte attraverso film di notevole spessore: “Bullismo”, “L’ultimo tabù – Le nostre Olimpiadi” e “Gay in pantofole”. Mentre quest’ultimo propone doc sulla terza età di omosessuali, lesbiche e transgender, con delicate testimonianze che si allargano alla memoria collettiva della comunità glbt, nel primo risalta Man in the Mirror del celebre Joel Schumacher, su un giovane portoricano, Jason, vessato a scuola perché gli altri ritengono che sia gay.
“L’ultimo tabù” tratta invece del rapporto tra omosessualità e sport, grazie anche a Paolo Colombo, il giornalista che anni fa dedicò due puntate della sua trasmissione Victory su La7 a questo tema. Tra le proposte attrae il romantico Mi último round (My last round), del cileno Julio Jorquera. In un paesino Hugo incontra il maturo Octavio, gloria locale del pugilato, col quale nasce un legame fortissimo. Quando si trasferiscono a Santiago, anche perché Octavio deve smettere con la boxe, i due possono finalmente vivere in libertà il loro amore, ma lì sorgono altri problemi che lo metteranno in crisi.
Due le sezioni “Open Eyes”: “Forever Young, gli amori immaginari” e “Lesbian Romance” Il primo affronta pellicole di giovani registi sull’identità sessuale negli adolescenti. Utopies (Utopia), dell’austriaco-francese Manfred Rott, racconta di un ragazzo che conosce un tipo, un po’ particolare su una chat: un incontro che lo aiuterà a sconfiggere l’insicurezza che lo opprime.
Nel secondo c’è forte attesa su due titoli: Jessie And Jamie Are Not Together, dell’americana Wendy Jo Carlton, e lo svedese Kyss Mig (With Every Heartbeat), di Alexandre-Therese Keining. Nel primo, un misto fra musical e commedia romantica, Jessie cerca a ogni costo di trattenere a sé Jamie quando capisce che ciò che prova per lei non è solo amicizia, ma la cosa si rivela più complicata del previsto. L’altro narra l’amore che scoppia fra le trentenni Mia e Frida, lesbica dichiarata, proprio quando Mia dovrebbe annunciare il suo fidanzamento con Tim, col quale sta da tempo. Le cose prendono dunque una piega imprevista e non sarà facile trovare la strada per essere felici.
La sezione “Vintage”, inaugurata lo scorso anno, propone alcuni film importanti; fra di essi Amici, complici, amanti (Paul Bogart, 1988), una delle pietre miliari del cinema gay, Le amicizie particolari (Jean Delannoy, 1964), l’affascinante A Strange Love Affair (Eric De Kuyper, 1984), Kommt Mausi Raus?! (Angelina Maccarone e Alexander Sherer, 1995) e l’importante Costretta al silenzio (Jeff Bleckner, 1995), con Glenn Close nella parte di un colonnello che si innamora di una pittrice e deve perciò lottare contro l’omofobico mondo militare statunitense.
Per finire, alcuni film sono presentati come eventi speciali. È il caso di Il “Fico” del regime di Giovanni Minerba e Ottavio Mai (1991), sulla straordinaria figura di Giò Stajano, scomparsa lo scorso anno. O Matthew Bourne’s Swan Lake, dell’inglese Peter Mumford, sull’epocale interpretazione del Lago dei cigni in versione tutta maschile, del geniale coreografo Bourne, qui arricchita dalla versione in 3D. Da non perdere poi il corto Ballad of Roy e Silo, del canadese John Greyson: un piccolo, delizioso musical su due pinguini innamorati allo zoo che cantano contro il perbenismo di tanti gay esaltando la gioia di vivere in libertà, senza discriminazioni.