Miracoli a Milano

Vogliamo parlare di Giuliano Pisapia e dei venti di cambiamento che prospettava meno di un anno fa, quando i sostenitori di donna Letizia Moratti confondevano il comune di Milano conquistato dalle orde rosse con la Comune di Parigi? Parecchi mesi sono passati e per la verità non molto è cambiato. Il sorridente Giuliano non ha per il momento combinato sfracelli e si sta rivelando un politico accorto, secondo la tradizione patria del dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Proprio in questa veste l’abbiamo ammirato in tv qualche settimana fa, quando è andato alla trasmissione di Fabio Fazio a illustrare i suoi progetti amministrativi e ha annunciato, tra le altre cose, la sua intenzione di onorare la promessa fatta in campagna elettorale di istituire un registro comunale delle unioni di fatto. Vale la pena soffermarsi su come ha porto la notizia a Fazio, estasiato dallo scoop, e ai telespettatori: “Sono molto orgoglioso di accogliere il papa a maggio per la settimana delle famiglie, ma sono anche orgoglioso che Milano manterrà l’impegno, che ha preso nel corso della campagna elettorale la mia coalizione, di far sì che diventi una realtà il registro delle unioni di fatto. Sono segnali che vanno nella direzione di dare una risposta a situazioni diverse ma tutte meritevoli di attenzione, chiaramente quella del papa particolare”.
L’attenzione particolare, abbiamo scoperto poi, consisterà anche nel posporre l’approvazione del registro delle coppie di fatto alla trasferta milanese di Ratzinger, prevista tra il 30 maggio e il 3 giugno, per non turbare il clima festoso dell’evento. Il papa, da parte sua, non si preoccupa affatto di apparire scortese e ha ribadito anche di recente la sua linea, in un discorso al corpo diplomatico accreditato in Vaticano: bisogna difendere “la famiglia fondata sul matrimonio di un uomo con una donna”, mentre le altre situazioni che il sindaco Pisapia giudica meritevoli di attenzione “minacciano la dignità umana e il futuro stesso dell’umanità”. Certo c’è chi fa notare che ai tempi di suor Moratti Milano si sarebbe limitata a baciare la pantofola papale e morta lì. Ma possiamo dimenticare quante poche soddisfazioni ci abbia dato – e non solo in materia diritti civili – la logica del presunto meno peggio? Qualcuno forse si ricorda ancora dell’indecoroso balletto sui Pacs (poi declassati a Dico) che tenne a battesimo l’alleanza di centrosinistra nel 2006 e fu poi un tormentone del secondo governo Prodi, illustrandone al massimo grado la totale incapacità. Ora, leggendo le dichiarazioni della capogruppo del Pd al consiglio comunale di Milano Carmela Rozza sul progettato registro delle unioni di fatto, sembra di rivivere lo stesso incubo: “Il Pd sta già lavorando a un programma che porterà alla definizione di una bozza. Questo documento andrà prima in commissione e poi in consiglio comunale: dopo l’evento di inizio giugno (la visita di Ratzinger ndr)”. Sembra che debbano elaborare chissà quale pensata epocale, mentre il problema è ancora una volta, come ha spiegato la stessa capogruppo, quello di mediare tra le posizioni laiche e quelle cattoliche all’interno della maggioranza. Il che è sconsolante per chi assiste dall’esterno a una scena già vista troppe volte e senza dubbio frustrante per chi, all’interno della giunta e del consiglio comunale, si sta impegnando per ottenere un risultato che non appaia semplicemente ridicolo.
Pisapia comunque ha garantito in tv che entro il 2012 i milanesi avranno il sospirato registro. E a questo proposito è il caso di fare qualche considerazione di merito. Se l’idea è quella di utilizzare questo strumento per rinfrescare l’immagine di Milano dopo quasi un ventennio di dittatura bacchettona, diciamo subito che rischia di non essere all’altezza, se pensiamo che il primo comune a dotarsene in Italia fu Empoli nel 1993 e che da allora molte altre città grandi e piccole ne hanno seguito l’esempio. Riproporlo oggi a Milano non è certo un gesto d’avanguardia e denota anzi una scarsa riflessione sul tema dell’uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini e del pluralismo delle culture e degli stili di vita. Ci sono parecchie altre cose che un’amministrazione cittadina potrebbe fare, prendendo magari spunto da quanto è successo in questi anni a Parigi, Berlino, Londra o Madrid anziché ispirarsi alla Empoli dei primi anni Novanta. Il valore pratico del registro, inoltre, sarà per forza molto limitato, dato che secondo le leggi vigenti la tutela delle convivenze compete alla legislazione nazionale. Il significato più importante dell’iniziativa è dunque di tipo simbolico. Per questo non è un bel vedere che il sindaco del rinnovamento di Milano e la maggioranza che lo sostiene si preoccupino tanto di non dispiacere all’integralismo cattolico, che esplicitamente pretende di imporre a tutta la società la propria visione della sessualità e della famiglia. Se si vuole un po’ di progresso civile per questo paese, bisogna anche avere il coraggio di assumersi fino in fondo le responsabilità che un punto di vista laico comporta, a cominciare dal fatto che si ha il dovere di dissentire in modo chiaro da chi dice che esiste qualcuno più uguale degli altri come nel celebre romanzo di Orwell. Perciò dedicare un’attenzione “chiaramente particolare” a questo papa paladino dell’intolleranza è un modo per dimostrare che il cambiamento non è poi questo granché. Infine, abbiamo il sospetto che in questa ingarbugliata vicenda milanese le tradizioni siano state rispettate anche sotto un altro profilo: chi avesse sentito il sindaco Pisapia menzionare i gay e le lesbiche parlando del registro delle unioni di fatto è pregato di farcelo sapere, perché a noi è proprio sfuggito.