Le ultime stagioni di collezioni maschili sono state le più dibattute, criticate e anche le più interessanti e significative degli ultimi anni secondo i massimi esperti in fatto di tendenze. La moda uomo, dopo anni e anni di grigio, nero e blu, ha abbandonato, almeno al momento, il rigore estetico dei canoni classici, per lasciare spazio a qualcosa di nuovo e inaspettato, a uno spunto di riflessione sul presente e sulle nuove generazioni.
Primo tra tutti a lanciare il monito Alessandro Michele, il nuovo designer di Gucci dalle idee controverse, forti e accattivanti, che al perbenismo maschile fatto di tagli sicuri e cravatte setate ha lanciato una sfida: lo stile “genderless”, ovvero capi d’abbigliamento e accessori senza una precisa connotazione di genere sessuale, ricchi di fiori, tessuti impalpabili e stampe d’archivio riprese dalle storiche collezioni donna del brand fiorentino. Novità? No di certo, basti pensare a epoche passate per rintracciare la vera nascita di questo fenomeno di costume, al 1700 di Luigi XVI per esempio: sfarzo, pizzi, cristalli, perle e merletti facevano da padroni non solo agli abiti da donna, ma soprattutto a quelli da uomo oltre al make up. O al grande e compianto David Bowie, fonte di ispirazione per musica e tendenze tutt’oggi, che ha anticipato la tendenza odierna grazie alla sua arte di trasformarsi, di non identificarsi, di rompere le regole imposte dalla società mutando di volta in volta in qualcosa di nuovo.
La spiegazione più razionale sul recente fenomeno però è da ricercare nei gusti del mercato asiatico e soprattutto nello scarso interesse maturato dai giovani uomini cinesi, big spenders ambiti dai brand di tutto il mondo, verso la moda uomo tradizionale, i quali non attratti dai classici completi giacca e pantalone, vogliono comprare, sì, ma al contempo vedere storie, comunicazione ed emozioni in un capo d’abbigliamento.
Ma cosa ne sarà dell’uomo si chiedono in molti?
Tra gli esperti del settore i pareri sono diversi e discordanti: c’è chi si pone a favore come Simone Marchetti, fashion editor di La Repubblica, che ha indossato le collezioni genderless e riconosce nei loro creatori dei geni d’avanguardia, e chi, al contrario ne dice peste e corna: “Alla domanda con chi usciresti questa sera, con un tipo dal capello fluido in camicia di pizzo o con un maschio in jeans e bomber borchiato, probabilmente, a prescindere dall’età e dal genere, molti risponderebbero: con uno che sa indossare una giacca, speciale perché normale”. Insomma c’è chi ancora esprime tutto il proprio disappunto verso capi fluidi che vanno bene sia sull’uomo che sulla donna e vede il tutto come la morte delle collezioni distinte e separate.
E non parlo solo di giornalisti ed esperti, ma anche di gente comune, che vede la moda dall’esterno, di uomini omosessuali che non si rispecchiano assolutamente in questa tendenza tutta fiocchi, aderenze e pizzi, e soprattutto nello stile imposto da questa teoria che mescola i generi, le identità e l’apparenza e non riconosce la differenza tra due sessi ben distinti e separati al di là dell’identità di genere che ognuno di noi, uomo o donna che sia, sente propria.
Tutto sommato però, questa guerra senza armi al genderless e alla differenza tra sessi nella moda è semplicemente l’ennesimo atteggiamento ripetitivo e conservatore verso un fenomeno ancora poco chiaro e quasi spaventoso, una sorta di “mettersi contro” usato solo per non applicarsi, cercare di capire e analizzare cosa davvero stia cambiando veramente nella società e cosa, invece, è solo l’ennesima proposta da passerella, ovvero una moda passeggera e stagionale.
A conclusione delle ultime sfilate, il trend sembra comunque imperare e non svanire, come una sorta di “modus vivendi” che sta convincendo sempre più marchi del lusso a lasciare almeno un po’ di spazio alla contaminazione tra generi.
In questa confusione dettata da fiocchi, pellicce e trasparenze, il mio pensiero rimane sempre fermo, diritto alla libertà di espressione. A voi invece chiedo che considerazione si ha dei maschi, se si è fermamente convinti che una camicia di pizzo o un colore pastello possano modificare la loro mascolinità?
Ma come succede in questo caso, pur di parlare si parla male, senza capire che questo fenomeno, che si preferisce chiamare genderless, è semplicemente una visione temporanea della moda (maschile o femminile che sia) attraverso la quale ognuno può avere la libertà di scegliere come vestirsi.
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