Nel cinema di Peter Greenaway ci sono spesso spunti omofili ma stavolta, in Eisenstein in Messico, l’omosessualità è il fulcro del film. La storia rievoca un momento fondamentale nella vita del regista Sergei Eisenstein (Elmer Bäck), quando nel 1931 si recò in Messico per girare un film. L’anno dopo, lo scrittore socialista Upton Sinclair smise di finanziarlo e così il regista non poté mai mettere mano ai chilometri di pellicola girati. Solo dopo la sua morte il film sarà montato come forse avrebbe fatto lui, col titolo di ¡Qué viva México! L’omosessualità di Eisenstein (1898-1948) fu conclamata, ma sopportata dal regime per l’eccezionalità del personaggio. Se le sue opere sono zeppe di riferimenti gay – a cominciare da La corazzata Potëmkin, con l’esaltazione del corpo maschile e con riferimenti simbolici, che chiamano in causa anche l’eiaculazione – sul piano personale le cose però furono ben diverse. Sposatosi due volte con matrimoni mai consumati, visse con la consapevolezza di essere brutto e con complessi di colpa, tanto che l’amore per il suo assistente, l’aitante Grigorij Aleksandrov, fu solo platonico. In Messico fu diverso. In quegli anni quel paese, dopo la rivoluzione socialista del 1910, fu un luogo eccezionalmente vivo, pullulante di pittori (Orozco, Siqueiros, Rivera e Frida Kahlo), fotografi (Tina Modotti), politici (Trockji) e tanti altri ancora. Eisenstein si innamorò subito della bellezza arcaica e magnetica degli indios, così come del diverso rapporto che i messicani hanno con Eros e Thanatos, il sesso e la morte (alla cui fascinazione non resisté, imparando a ballare con uno scheletro o leccando un teschio di zucchero). Così, lì espresse finalmente la propria sessualità. In particolare, negli ultimi 10 giorni trascorsi nella cittadina di Guanajuato, Eisenstein venne affidato a una guida, l’attraente Palomino Cañedo (Luis Alberti), sposato con figli, col quale visse una storia d’amore consumata voracemente. Mischiando la verità con un po’ di finzione, lo stile visionario e affascinante di Greenaway – esaltato dal montaggio e da idee immaginifiche – si svolge in un flusso continuo di immagini, con lo schermo spesso moltiplicato in più parti, con estratti di film di Eisenstein e con immagini delle persone celebri chiamate in causa. Riflettendo acutamente sul cinema, attraverso uno dei più grandi registi di tutti i tempi, e sulla morte, il regista gallese ha incentrato il discorso soprattutto sul sesso, sul rapporto profondo, non solo fisico, tra Cañedo e Eisenstein. E senza girarci attorno: così la scena in cui Eisenstein viene posseduto per la prima volta è cruda e insistita, come raramente si vede sullo schermo. E nello stesso tempo, altre cose ribadiscono l’omosessualità di Eisenstein, come i suoi intriganti disegni che narrano amplessi gay particolarmente spinti.
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