Tra migranti, omosessualità e diritti

Da anni Arcigay ha attivato un servizio che aiuta i migranti gay, lesbiche e trans a integrarsi nel nostro paese. Facciamo un bilancio del lavoro svolto fin qui attraverso le parole dei responsabili nazionale e milanese

Nella tragedia complessiva e infinita dei migranti che perdono la vita nel tentativo di raggiungere l’Unione europea – un collettivo internazionale di giornalisti calcola che ne sono morti, a partire dall’anno 2000, più di 29 mila – e che fuggono da guerra, fame e disastri naturali, ci sono anche le singole tragedie di chi scappa dai paesi nei quali essere gay, lesbica o trans è ancora motivo di carcere, tortura o pena di morte: la mappa che l’ILGA ha stilato per il 2014 annovera ben 82 stati del mondo dove essere omosessuali è ancora in qualche modo illegale .

Arcigay nazionale ha cominciato a occuparsi dei giovani migranti nel 2008, quando ha inaugurato un progetto di formazione dedicato, MIGRA. “Da qualche anno l’Unione europea aveva emanato delle direttive contro le discriminazioni multiple, per cui ci trovammo a partecipare ad alcuni progetti comunitari sul tema”, ci spiega Giorgio Dell’Amico, referente su Immigrazione e Asilo di Arcigay nazionale, servizio con sede a Bologna. “Volevamo capire se c’erano esigenze in tal senso.

Proponemmo allora un progetto per formare dei volontari del movimento lgbt. Di mestiere io mi occupo di migranti da 23 anni, in particolare come educatore; in seguito alla mia assunzione nella cooperativa sociale nella quale tuttora lavoro, che gestiva un servizio per migranti nel comune di Modena, è iniziata quest’avventura”. La rete di volontari germinata da quell’esperienza si occupa di seguire i casi di ragazzi e ragazze lgbt in cerca di asilo nel nostro paese, fornendo oltre al supporto sociale anche un aiuto tecnico-legale.

Diego Puccio, responsabile per Arcigay di Milano dello sportello IO – Immigrazioni e Omosessualità, ci spiega che il gruppo di lavoro ha inoltre lo scopo di “dare più visibilità al tema, spesso misconosciuto, e di introdurre i valori dell’intercultura all’interno del movimento gay italiano, oltre che parlare di orientamento sessuale anche nelle organizzazioni che si occupano di immigrazione”. C’è ancora parecchio da fare, infatti, per ridurre il razzismo che serpeggia tra i gay italiani, così come è fondamentale arginare l’omofobia delle persone migranti che arrivano nel nostro paese e che spesso è motivo di disagio verso se stessi e gli altri. Oltre che Arcigay e Arcilesbica, il progetto milanese annovera la partecipazione dello Sportello Trans Ala, dell’Associazione Radicale Certi Diritti e di Arcobaleni in marcia, ma è continua la collaborazione con le associazioni Todo Cambia e Naga; tutti sostenuti per gli aspetti giuridici dallo studio legale Santilli e Corace e dall’avvocato Livio Neri.

Le normative europee sul diritto d’asilo per motivi umanitari, tra cui anche la persecuzione dell’omosessualità, sono apparentemente tra le più avanzate del mondo. “Quella italiana ha però molti limiti”, precisa Dell’Amico. “Manca ovviamente il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso, che a volte costringe ad escamotage legali, come l’essere assunti dal partner o fare domanda di asilo, ma va segnalata anche l’arretratezza delle norme sull’immigrazione per l’ingresso e il soggiorno, e anche per la cittadinanza. Dal punto di vista delle tutele dell’asilo siamo invece più avanti rispetto ad altri paesi dell’Unione, anche se siamo molto carenti nell’ambito dell’accoglienza e dell’integrazione, specie per i gay: manca una rete nazionale di supporto. Non noto invece resistenze culturali sul tema, al contrario: c’è molto interesse”.

Secondo Diego Puccio anche le norme europee non sono adeguate alle esigenze degli immigrati lgbt: “La questione è più ampia e non riguarda soltanto i gay ma l’intero comparto di leggi comunitarie sull’immigrazione: si lascia che i rifugiati vengano gestiti direttamente da paesi come Tunisia e Libia, facendo accordi con i loro governi e legalizzando per queste persone un futuro di sofferenza, se non di condanna a morte”. I luoghi di origine dei migranti che approdano in Italia sono i più disparati: “Abbiamo seguito ragazzi provenienti da tutti i continenti, Oceania esclusa”, ci spiega Dell’Amico. “Molti dall’Africa: Senegal, Marocco, Tunisia, Egitto, Uganda, Rwanda, Nigeria, Camerun, Algeria, Gambia, Ghana, Mali, Sierra Leone, Somalia e Tanzania. Diversi dall’Asia: Pakistan, Iran, Afghanistan, Bangladesh, Siria. Alcuni dall’Europa dell’Est, in primis Russia, poi Albania, Moldavia, Kosovo, Ucraina. Ce ne sono stati alcuni anche dall’America centrale: vengono da El Salvador e Cuba”.

Puccio ci tiene a ricordare che tra le zone calde del mondo dove di recente la vita degli omosessuali è diventata più complicata c’è la Russia e la sua legge anti­propaganda gay, che anche quest’anno ha causato arresti e pestaggi dei quali sono stati vittime i pochi manifestanti che hanno soltanto provato a sfilare a Mosca per il pride del 30 maggio: “In questi ultimi due anni sono aumentati i casi dei russi: molti sono drammatici, hanno subito violenze e ricatti. Le loro storie ci restituiscono una visione del paese terribile. Anni fa abbiamo seguito anche parecchi ragazzi di origine iraniana, dove la situazione continua a non essere delle migliori”.

“A parte la Russia, per gli altri paesi la situazione difficile è più costante”, avverte Dell’Amico. “Con gli arrivi dei profughi di questi ultimi anni, sicuramente c’è stato un aumento di persone provenienti da paesi classicamente omofobi come Nigeria, Gambia e Senegal: non tanto perché fuggiti per venire in Italia o in Europa per chiedere asilo, ma perché i profughi erano andati in Libia per lavorare, stando nel frattempo lontani dalle pressioni famigliari. Il precipitare della situazione politica in Libia li ha portati qui in seguito e questo ha comportato la possibilità di chiedere asilo. Ci sono poi altre nazionalità che hanno forse meno limitazioni nel poter lasciare il Paese: in questi anni abbiamo riscontrato l’arrivo in Italia di diversi ragazzi, specie ugandesi e iraniani, che avevano un visto italiano e con quello avevano cercato riparo in altri paesi dell’Unione europea”.

La meta italiana, infatti, non sempre viene liberamente scelta dai richiedenti asilo, puntualizza Puccio: “La convenzione di Dublino vieta ai rifugiati di spostarsi in altri stati che non siano il primo paese europeo d’arrivo; per cui, una volta giunti qui, sono obbligati a richiedere asilo all’Italia”.

I sistemi coi quali questi ragazzi riescono ad entrare nel nostro paese sono i più svariati: “Può avvenire direttamente, tramite amici o partner già arrivati”, precisa Dell’Amico. “Oppure vengono a conoscenza dei vari progetti per migranti e prendono contatto con gli avvocati specializzati nella materia. Il nostro è per lo più un supporto alla procedura legale, che diventa ben presto un aiuto psicologico e relazionale. In alcuni casi, per brevi periodi, abbiamo anche sostenuto qualche ragazzo dal punto di vista economico, pagando alloggio e piccole spese. Altre volte ci siamo avvalsi della rete di progetti SPRAR (il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati attraverso il quale i vari comuni italiani accedono a un fondo nazionale dedicato, ndr) per accoglierli e seguirli, collaborando poi con loro alla procedura della domanda di asilo. Rispetto a questo, Modena è all’avanguardia, avendo incluso nel progetto l’accoglienza di gay e lesbiche”.

Secondo Puccio, coi famigerati barconi coi quali gli xenofobi nostrani paventano l’invasione di orde di immigrati, gli asilanti lgbt c’entrano poco: “Per lo più vengono in Italia attraverso un permesso di studio o un visto turistico; la maggior parte di loro sono entrati comunque tramite un normale visto d’ingresso”.

Tra i tanti casi trattati, Dell’Amico fa fatica a segnalarne solo uno che gli sia rimasto a cuore: “C’è il ragazzo pakistano, uno dei primi, che si è messo a piangere dopo avermi raccontato con molta angoscia per quale motivo fosse fuggito e io l’ho tranquillizzato dicendo che anche io sono gay. C’è la ragazza lesbica marocchina appena diciannovenne, con una situazione famigliare parecchio pesante. O il ragazzo iraniano e quello algerino che attualmente danno una mano per seguire altri richiedenti asilo gay e lesbiche. E il ragazzo senegalese che attualmente lavora con me come mediatore. Insomma: ognuno di loro ha una sua particolarità e per tutti ho almeno un motivo di attaccamento”.

Puccio invece ricorda con particolare affetto il caso di un ragazzo nigeriano, “forse perché uno dei primi seguiti. Lui, come in realtà la maggior parte dei ragazzi e ragazze che seguiamo, sono persone estremamente forti. Vogliono così tanto vivere liberamente la loro esistenza che fuggono rinunciando agli affetti più cari, ben sapendo che probabilmente per anni non potranno rientrare nel loro paese. Sanno anche che la vita che dovranno affrontare sarà durissima: arriveranno in un luogo in cui non solo non verranno ben accolti, ma non potranno contare neanche sulla comunità di origine. Nonostante questo decidono di partire, inseguendo i loro sogni”.

Una volta nel Belpaese, alcuni di questi richiedenti asilo riescono comunque a instaurare relazioni amicali e amorose, se non ne hanno già dal paese di nascita. Dell’Amico nega che la condizione precaria di asilante influenzi più di tanto questa possibilità. “Le situazioni vanno valutate una per una: alcuni ragazzi riescono a intrecciare rapporti con facilità, altri meno. Forse ha un peso il fatto di aver subito grandi sofferenze nel paese d’origine, e in questo caso si fatica di più”.

Tra le relazioni già in corso durante le procedure d’asilo, Puccio ama ricordare quella di “due ragazze, una con origini delle Seychelles, che ci hanno chiesto aiuto per il riconoscimento del loro matrimonio contratto all’estero. La regolarizzazione dei documenti per questi ragazzi significa vivere una vita più stabile. Molti di loro, dopo avere ottenuto lo status di rifugiato, si sono iscritti all’università. Alcuni trovano un compagno italiano o straniero che li aiuta nel loro percorso”.

Il progetto IO procede a gonfie vele ed è in via di espansione: oltre a quello nazionale di Bologna e quello di Milano è nato in questi mesi anche un gruppo di lavoro a Palermo, in attesa di allargarsi anche a molte altre realtà territoriali che ne hanno fatto richiesta. “Il bilancio che possiamo trarre del nostro lavoro è ottimo: se seguiamo bene un caso dall’inizio alla fine il richiedente ottiene sempre lo status di rifugiato”, commenta Puccio. “Credo sia molto importante continuare a fare rete tra tutte le associazioni che si occupano di diritti, per far comprendere quanto ogni individuo diverso da noi sia fonte di arricchimento e mettere in luce quanto i diritti umani stiano scomparendo dal Mediterraneo”.

Invitato a profilare cosa succederà nel prossimo futuro al progetto, Giorgio Dell’Amico auspica certamente un orizzonte positivo. “La sensibilizzazione sul tema è aumentata, così come la visibilità che ottiene sui media. Sono cresciute anche le realtà associative disposte ad occuparsene, anche se solo su casi specifici: per il contesto italiano di oggi è già un ottimo risultato”. Parlando della realtà milanese, Puccio annuncia di voler coinvolgere anche i movimenti studenteschi locali, “visto che rappresentano la generazione futura del nostro paese. Nel concreto, vorremmo realizzare in città una struttura di ricezione per i rifugiati gay, lesbiche e trans dentro un edificio più grande dove accogliere il turismo internazionale, in cui gli stessi richiedenti asilo possano lavorare: oltre alla propria, la quasi totalità parla fluentemente una lingua europea. In questo modo potrebbero intraprendere un progetto di vita autonomo, senza dipendere dal sostegno pubblico”.

Per informazioni e contatti si può scrivere a: migra@arcigay.it , oppure telefonare o inviare un

sms al numero Arcigay di Migra: 348/7669298.

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