Da vittima a simbolo

Daniel Zamudio (pronuncia: Samùdio), era un ragazzo di Santiago di 24 anni. È morto il 27 marzo scorso, dopo un mese d’agonia, per un’aggressione omofobica da parte di tre individui che lo avevano sorpreso in un parco.
Durante il mese d’agonia il suo caso ha commosso il Cile, facendo di lui un simbolo, come già accadde di Matthew Shepard. Grazie alla reazione della sua famiglia, che ha preteso giustizia, i suoi assassini sono stati rapidamente individuati e incriminati. L’emozione suscitata da questo tragico fatto ha sbloccato inoltre la legge contro i crimini d’odio che giaceva in attesa di discussione da sei anni.
Ivan Zamudio, padre di Daniel, è venuto in Italia a giugno per raccontare la sua esperienza. Lo ha reso possibile la decisione di Agedo (l’Associazione dei genitori di omosessuali) di destinare a questo scopo una parte del denaro proveniente da due sponsorizzazioni concesse delle aziende Coin e Swarowski.
Zamudio ha così parlato dal palco del pride nazionale di Bologna, è stato intervistato da molti periodici italiani, e a Roma ha incontrato l’ambasciatore cileno e presenziato all’inaugurazione d’una targa nell’ufficio di Arcigay nazionale nella capitale.
Lo abbiamo incontrato a Bologna, subito dopo il pride.
Ogni giorno in tutto il mondo ci sono omosessuali assassinati per il fatto d’essere tali. Raramente però lo si sa, perché le famiglie vogliono nascondere il motivo della morte del congiunto. Daniel, invece, ha avuto una famiglia che non s’è tirata indietro.
Tirarmi indietro? E perché mai avrei dovuto vergognarmi di mio figlio? Sono stato io a chiamare i giornalisti, quando ho visto come me lo avevano ridotto: in coma! Prima l’hanno pestato a sangue, poi quando era in terra gli hanno orinato addosso, gli hanno inciso una svastica sul petto, e poi hanno preso una grossa pietra e gliela hanno fatta cadere addosso per dieci volte! Uno di quegli huevones [“buoni a nulla”] assassini ha detto che la gamba, rompendosi, ha fatto il rumore d’un osso di pollo spezzato! Sono stato io, a chiamare il Movilh (associazione glbt di Santiago) che m’ha aiutato, dandomi gratis un avvocato. L’ho fatto perché se ne parlasse sulle tv e sui giornali, perché se avessi aspettato che la polizia cercasse con tutta calma i colpevoli, li staremmo ancora cercando.
Su un sito Internet ho letto che fra lei e suo figlio c’erano stati screzi. È vero?
Come possono esserci fra qualsiasi padre e figlio. Lui era testardo, festaiolo, era di cuore, bello, sano di mente, però era ribelle, e faticava a decidersi sul suo futuro, e io gli dicevo: “Daniel: o ti applichi seriamente allo studio, oppure ti cerchi un lavoro”. Invece i “giornalisti” quando non sapevano cos’altro scrivere hanno creato il pettegolezzo e la calunnia.
Uno di loro è arrivato a scrivere che Daniel era morto perché io ero un omofobo che lo aveva cacciato di casa. Io gli ho telefonato a casa e gli ho detto che aveva scritto solo menzogne, ma che se anche quel che aveva scritto fosse stato vero… ebbene, anche in quel caso Daniel non se lo sarebbe meritato comunque, quello che gli hanno fatto. Dando a me la colpa quel “giornalista” voleva solo allontanarla dai suoi torturatori e assassini.
Quando del caso s’è impadronita la stampa anche gli uomini politici si sono svegliati, approvando la legge contro i crimini d’odio.
Ah, i politici… Con loro è stato tremendo. Quando i giornali e le tv hanno cominciato a parlare di Daniel, erano tutti lì intorno per farsi fotografare con me e poi… (mima il gesto di chi sorride con ilarità, si mette in posa per le foto passando un braccio sulla spalla, e una volta finito assume un’espressione indifferente). Ma ho pensato: “facciamo anche questo”, perché serviva a chiedere giustizia.
L’hanno soprannominata “Legge Zamudio”, in onore di Daniel, però questa legge non è per Daniel. A lui non è servita. Non gli ha salvato la vita.
Ma servirà per aiutare altri ragazzi omosessuali, i neri, gli stranieri, i poveri… chiunque venga preso di mira per il fatto di essere diverso dagli altri… Daniel me l’hanno ucciso, però ne hanno fatto un simbolo. Quando era in coma la gente metteva cartelli, lasciava fiori e messaggi scritti, e vegliava con le candele fuori dal suo ospedale. Dopo la sua morte gli hanno costruito le animitas (piccole croci erette per le anime di persone buone defunte, a cui per tradizione la gente in Cile si raccomanda, pregandole per ottenere aiuto nella vita, ndr). Adesso Daniel è un’animita, e loro sono assassini.
Però anche se avessi cento figli oltre agli altri tre che ho, mi mancherebbe ancora… e mi manca.
Cos’ha provato al gay pride a Bologna?
Su di me ha avuto un impatto enorme l’Agedo. Le manifestazioni gay le abbiamo anche in Cile, ed anche l’associazione di genitori… ma non così tanti. Vedere tanti genitori insieme, ma soprattutto assieme ai loro figli e le loro figlie che parlavano serenamente prima della manifestazione, mi ha commosso. Questa è la famiglia, è quello che deve essere una famiglia.
Sarà questa l’esperienza che porterò con me in Cile dall’Italia.