Albert Nobbs

Presentato con successo al Torino Film Festival, Albert Nobbs è ora sui nostri schermi. Il film è tratto da un racconto breve del 1927 dell’irlandese George Moore, poi trasformato in una pièce teatrale, interpretata da Glenn Close negli anni Ottanta a Broadway. Proprio l’attrice ha voluto fortemente il film: se già nel 2000 aveva quasi convinto István Szabó a dirigerlo, ora c’è riuscita col colombiano Rodrigo García (figlio del celebre scrittore Gabriel García Márquez).
La storia è veramente singolare. Siamo nella seconda metà dell’Ottocento a Dublino. Albert Nobbs (Glenn Close) lavora da oltre trent’anni come cameriere nel prestigioso Morrison’s Hotel. Irreprensibile, affidabile e stimato per il suo lavoro, Albert è riuscito sempre a nascondere perfettamente il suo segreto: è infatti una donna, travestitasi da uomo per trovare lavoro e dare uno sbocco diverso alla sua vita. Detto ciò, con i suoi risparmi sogna un giorno di aprire un piccolo negozio, magari con un’altra donna. Già, perché Albert è lesbica…
La sua vita subisce uno scossone quando la direttrice dell’hotel lo obbliga a ospitare nella sua stanza un decoratore, Hubert Page (Janet McTeer). Ovviamente quest’ultimo non ci mette a molto a scoprire il vero sesso di Albert, ma poi la situazione prende una svolta inedita, poiché incredibilmente anche l’altro nasconde il medesimo segreto. Così, Albert viene a sapere che Hubert è fuggito da un marito violento e che, impossessatosi dell’identità del marito, vive ora con una compagna. Il fatto di vedere due donne che vivono assieme serenamente lo fa riflettere sulla sua esistenza, sulla sua vita che non gli appartiene, e gli dà la spinta giusta per cambiare finalmente qualcosa.
Il film mette a fuoco tanti argomenti. Quello di base è la violenza che imperversa in una Dublino poverissima, impestata dalla febbre tifoidea, in cui le classi sono rigidamente separate: una violenza che si esprime in tante maniere – il ricco contro il povero o il capo contro chi gli è sottomesso – ma che più che mai interessa le donne, vittime di vessazioni e costrette a subire. L’idea di travestirsi a 14 anni da uomo per Albert, che bambina fu abbandonata dai genitori che non ha mai conosciuto, è dunque più che un rifugio: è la speranza di un futuro migliore e più degno di essere vissuto.
Questo travestimento, utilizzato per così tanti anni, è però micidiale: isolato e sempre timoroso che gli altri vengano a conoscenza del suo segreto, Albert è del tutto confuso sulla sua identità, tanto da non sapere più, o forse ricordare, il suo vero nome da donna. Tutto gli è confuso: il passato che ormai ha cancellato dalla sua memoria così come il futuro, che non sa immaginare quale possa essere, così come trovare qualcuno da amare o che lo ami. Una crisi di identità che trova il suggello in una delle scene più cariche di significato del film: quando Albert e Hubert, vestiti dopo tanti anni nuovamente da donne ma con le scarpe da uomini (cosa che spiazza lo spettatore, a cui sembra quasi di vedere una scena en travesti), corrono sulla spiaggia, per poi inciampare goffamente, non a loro agio in quegli abiti in cui non si riconoscono più. Così facendo, il film evidenzia come le identità di per sé siano qualcosa di labile e di fluido, legate alle situazioni sociali.
Altre volte ci sono stati travestimenti di questo tipo al cinema – si pensi a Victor Victoria, Tootsie, Yentl o Mrs Doubtfire – ma stavolta è diverso: senza contare che la protagonista è lesbica, non è infatti un mezzo per raggiungere i propri scopi o per far ridere lo spettatore ma c’è il dramma di una persona prigioniera della sua finzione e che sogna di non avere più una doppia vita (cosa che solo lo spettatore sa, in una sorta di magica complicità). La prova di una scelta così diversa è che Albert è un essere androgino, praticamente asessuato e privo di erotismo, che dietro la sua maschera pallida e imperturbabile nasconde la sua angoscia.
La recitazione di Glenn Close è ovviamente superlativa, da Oscar. Non così la regia: certo il film è elegante, ma va avanti senza sussulti, giocando soprattutto sull’ottima ricostruzione storica. Brillanti i personaggi comprimari: la burbera direttrice Mrs Baker (Pauline Collins), l’ironico Dottor Holloran (Brendan Gleeson) e il visconte Yarrell, dandy e libertino (Jonathan Rhys-Meyers).