Quando gli abbiamo proposto di realizzare una copertina per Pride ci ha risposto con entusiasmo. Dopo pochi giorni ci ha mandato qualche bozzetto, e in quello preferito da lui in piena sintonia con la redazione ha racchiuso il suo immaginario: la passione per la cultura nipponica, per le atmosfere soffuse delle ambientazioni, per l’ironia sottile, per il romanticismo pop. E per gli uomini sexy un po’ beffardi, dall’erotismo mai sguaiato. “L’estate scorsa sono stato in Giappone”, racconta. “Sognavo di fare il bagno dove le scimmie rimangono in ammollo nelle fonti termali, ma non ci sono riuscito, così ho deciso di utilizzare quella cornice per una copertina invernale un po’ atipica”.
Jacopo Camagni ha 33 anni, è nato e vive a Bologna e lì ha fondato col fidanzato Marco Felicioni lo studio Dronio (dronio.com), condiviso col fratello di lui, Andrea, e con l’illustratore e colorista Fabio Barboni. Insieme producono fumetti per ragazzi, illustrazioni e immagini pubblicitarie. L’autore s’è fatto le ossa collaborando per più di un decennio con Kappa Edizioni, la casa editrice bolognese ben nota ai lettori di Pride per i suoi numerosi fumetti a tema gay, tra i quali le serie Take Away e Le Amiche Giuste, disegnate da Jacopo su sceneggiature di Massimiliano De Giovanni.
Camagni è gay dichiarato da sempre e porta avanti con successo la sua produzione di fumetti mainstream – pubblicati anche in Francia (per Soleil) e negli Stati Uniti (per Marvel Comics) – accanto a quella più marcatamente omosessuale. I suoi lavori a tema gay sono arrivati persino a Hollywood, esposti in una mostra collettiva nel 2007 al fianco di maestri del settore come Glen Hanson e Patrick Fillion. A breve sarà possibile acquistare dal suo sito una raccolta delle illustrazioni omoerotiche realizzate dal ’98 a oggi, dal titolo Dronio – Maneater.
“La mia attività di ‘illustratore gay’ è nata come sfogo: disegnando tutto il giorno storie per ragazzi ho capito che avevo bisogno di ritagliarmi uno spazio tutto mio, dove far maturare le mie fantasie. Così ho cominciato a lavorare su progetti personali come la serie True, dove, insieme a Marco, ho cercato di esprimere un mio personale punto di vista sulle dinamiche della vita omosessuale contemporanea. Non affronto temi esplicitamente sessuali ma mi interessa raccontare altro: trovo molto più eccitante il contesto o la tensione erotica presenti nel momento che precede un rapporto, piuttosto che quello che, meccanicamente, avviene durante. Senza contare che nel campo del fumetto per ragazzi difficilmente accetterebbero un disegnatore che fa anche materiale pornografico”.
Durante i tuoi inizi a fumetti con Kappa hai trovato un ambiente piuttosto libero, dal punto di vista della visibilità. Questo ha influito, sul tuo lavoro?
Ha indubbiamente contribuito a fare di me quello che sono oggi, ma è stata un’influenza reciproca. Al mio arrivo l’ambiente non era dei più friendly, poi le cose sono cominciate a migliorare dopo il mio coming out in redazione. Ricordo che fui il primo a dichiararmi apertamente, portando il mio ragazzo alle feste o alle inaugurazioni e presentandolo come tale. Per fortuna la redazione era piena di persone intelligenti: il clima generale diventò talmente rilassato da portare altre persone a uscire allo scoperto.
Come sono nate le storie gay pubblicate con Kappa Edizioni?
Take Away nacque dalla passione mia e di Massimiliano De Giovanni per i film di Wong Kar Wai, soprattutto Happy Together. Decidemmo di creare una storia che racchiudesse le atmosfere dei suoi film e al tempo stesso raccontasse una vicenda gay non banale.
La storia delle Amiche Giuste invece è totalmente diversa. Stavamo tornando a Bologna in macchina, era successo un evento molto brutto per entrambi; cominciammo a parlare di fumetti e serie animate e, ridendo, fantasticammo su un’improbabile serie a tematica glbt che coniugasse lo stile grafico di certi cartoni americani di Cartoon Network con situazioni divertenti e battute al vetriolo. Nacquero cosi, probabilmente come reazione lenitiva a una giornata troppo triste.
Raccontaci del sodalizio professionale con Marco. Com’è, lavorare con uno sceneggiatore che è anche il tuo ragazzo?
Marco l’ho conosciuto otto anni fa al Cassero di Bologna, dove lavoravo come barista e nel contempo come illustratore di flyer e riviste della vecchia e storica sede di Porta Saragozza; lui aveva 21 anni. È di certo la persona con la quale, a oggi, ho diviso più tempo, intimità, pensieri, paure, gioie: abbiamo avuto modo di evolverci insieme, influenzandoci a vicenda. Diciamo pure che la ragione principale che ha fatto scoccare la scintilla tra noi è stata sicuramente la voglia di entrambi di raccontare storie, lasciare un segno nell’immaginazione delle persone. Da ciò viene che la vita privata e quella lavorativa diventino una cosa sola. Le storie a fumetti di solito nascono da un’idea buttata lì con la formula “immagina se…”, poi la sviluppiamo assieme, in macchina o sul divano di casa. A quel punto il lavoro si divide: Marco si occupa di scrivere la trama generale e di svilupparla, mentre io mi dedico al disegno dei personaggi e degli ambienti. Una volta completata, la sceneggiatura arriva a me per essere disegnata.
Alla Marvel ti hanno imposto limiti particolari, su quello che puoi disegnare?
Lavoro per lo più su testate per ragazzi e, anche se il mio sceneggiatore americano e il mio editor sanno della mia omosessualità, non ho alcun problema con loro. Anzi, sembra quasi che lo sceneggiatore mi affidi apposta storie con situazioni al limite dell’omoerotico, del tipo: Capitan America e Iron Man senza costume, sudati, giocano a basket in una sequenza con continui placcaggi reciproci… Purtroppo non ho ancora avuto l’occasione di cimentarmi con personaggi espressamente gay come Wiccan o Hulkling (v. Pride n. 119, marzo 2009, ndr), allora mi limito a infilare tra le tavole un po’ di sano erotismo. Un giorno magari riceverò la mail di un non più giovane ragazzetto americano che mi ringrazierà per il pelo delle ascelle disegnato a Wolverine, dicendomi che l’ha aiutato a passare certi momenti di solitudine della sua pubertà. Dopotutto, in Italia mi succede ancora di ricevere messaggi simili per Take Away.
Conosci il panorama del fumetto gay italiano e internazionale?
Esiste un panorama italiano di fumetto gay? Non me n’ero accorto… Invece, ho moltissimi amici tra le fila degli illustratori gay esteri. Il problema è che loro riescono a pubblicare solo ed esclusivamente se il materiale ha contenuti hard. Mi piacerebbe poter raccontare storie dove l’omosessualità venga vissuta con normalità, dove non sia necessariamente il perno narrativo. Mi piacerebbe che fosse semplicemente parte del contesto naturale nel quale la storia è ambientata, al pari del cane che fa bau o dell’acqua che fa plic plic.
E della situazione politica e sociale italiana, a proposito dei diritti omosessuali, cosa pensi?
Credo seriamente che in Italia la situazione sia grave. Non solo non vedo un miglioramento nelle politiche sociali, ma c’è anche una colpevole erosione di tutti i traguardi raggiunti nei decenni passati da persone come Marcella Di Folco o Stefano Casagrande, giusto per citare due militanti bolognesi storici che ho conosciuto e ammirato di persona. I giovani gay godono dell’attivismo riflesso delle generazioni che li hanno preceduti senza conoscere realmente il valore di quello che hanno e che rischiano di perdere. Starnazzano tra divertimenti monoporzione nel loro bel localino fashion, del tutto ignari del fatto che una volta fosse fulcro di idee, movimenti, iniziative e rivoluzioni. Così facendo, lasciano avanzare le orde omofobe in continua crescita, senza nemmeno rendersene conto.
Il nostro paese è indietro decenni rispetto alla maggioranza dei paesi europei. Con questo non dico che si debba aspettare: il cambiamento è dietro l’angolo, sta solo a noi dimostrare che con un po’ di coraggio si può fare. Se non siamo noi i primi a viverci con orgoglio e tranquillità, al lavoro, in pizzeria o al supermercato, nulla potrà mai cambiare. Non possiamo aspettare o pretendere che siano gli altri a fare la prima mossa. Bisogna educare le persone, quindi ditelo, che siete gay: se vi conoscono, i vostri colleghi e amici capiranno che non sarete diversi dal giorno prima.
Hai in cantiere qualche fumetto a tema gay, magari da realizzare in coppia con Marco?
Ne abbiamo almeno due: una storia corale alla Ozpetek ambientata in Italia e per un mercato underground, con una coppia gay a far da perno a schiere di personaggi e vicende parallele; e una serie per il grande pubblico che stiamo preparando insieme per un grosso editore, sarà una storia on the road a base di sangue, esoterismo e mitologia, a zonzo per gli Usa e il Canada. Avrà tre ragazzi per protagonisti, uno dei quali bisessuale.
Che rapporto hai con la tua città? È ancora un posto dove è più facile vivere, per chi fa un lavoro artistico – e per chi è gay – rispetto al resto d’Italia?
La amo e la odio a giorni alterni. Il problema vero è che Bologna, negli ultimi anni, pur essendo ancora una delle migliori realtà italiane, patisce un impoverimento culturale disarmante, anche dal punto di vista glbt. Sto seriamente pensando di trasferirmi all’estero, in qualche bella città cosmopolita dove non sia costretto a sentirmi uno straniero in patria.